Cinque passi per fare personal branding

Personal Branding in cinque passi

In un recente articolo pubblicato su Kellogg Insights sono stati descritti in modo sintetico alcuni elementi centrali per l’intero processo di personal branding strettamente connessi alla ricerca di una personal brand identity autentica.

Chissà quante volte ci si è sentiti dire: “Sii te stesso”. Questo consiglio appare sempre molto più facile a dirsi che a farsi, soprattutto nei luoghi di lavoro, dove ci si sforza di essere visti come supereroi inarrestabili, ostentando un’attenzione spasmodica al proprio lavoro e a quello che si fa.

In effetti, le persone in generale sono (comprensibilmente) molto titubanti a esporre le proprie emozioni, le paure e i desideri a colleghi, capi, impiegati o clienti: “temono che se fossero veramente se stessi, gli altri non li accetterebbero” (Booth, 2019). Tuttavia, essere autentici al lavoro è probabilmente un rischio che vale la pena correre.
Booth ed altri membri del Kellogg College, analizzando se e quanto l’autenticità sul posto di lavoro rende più etici, più sicuri e rende più salde le relazioni con i clienti, hanno individuato i cinque passi che concretamente possono essere condotti per essere sé stessi, esprimendo il proprio stile e ricercando il proprio se più profondo.

1. Perché essere un “Sé unico” (personal brand identity) al lavoro

Ciascuno possiede identità multiple che prevalgono o si manifestano a seconda del contesto sociale in cui ci si ritrova: ad esempio, la persona d’affari all’ingresso in azienda e durante gli incontri con clienti e/o dipendenti; la persona-amica del club del libro, prodiga di commenti e suggerimenti per l’ultimo libro assegnato e letto avidamente; la persona-madre al momento di andare a letto nel dare la buonanotte ai propri figli. Ma cosa c’è di male nel ripartire le identità personali? Numerose ricerche hanno evidenziato come le persone nella suddivisione tra anima-personale e anima-professionale abbiano maggiori probabilità di assumere comportamenti non etici (Kouchaki, 2019):

  • in un esperimento, in cui si richiedeva ad un gruppo di individui di tenere distinte le identità domestiche da quelle professionali/di lavoro, emergeva che questi provassero sentimenti di non-autenticità. I partecipanti ripetevano in continuazione: “Non sono sicuro di quali siano i miei veri sentimenti”;
  • in un altro esperimento, i partecipanti che erano maggiormente predisposti a separare le proprie identità, nel gioco del lancio delle monete in cui si confrontavano con gli altri, hanno ingannato in modo significativo più spesso rispetto a coloro che erano prodighi verso l’integrazione e l’unicità delle due identità.

I ricercatori hanno quindi deciso di spostarsi dall’esperimento ad una ricerca più ampia, al fine di testare i risultati ottenuti nel mondo reale. Per questo motivo hanno realizzato una ricerca su 150 coppie di manager-dipendenti e hanno scoperto che quando i dipendenti dichiaravano di non aver integrato le due identità, venivano “colti in fragrante” dai loro capi, nel comportarsi in modo scorretto (come confondere le note spese o maltrattare i colleghi) con maggiore frequenza. Questo ha permesso di evidenziare l’importanza del ruolo delle organizzazioni rispetto alle persone-dipendenti; infatti “è nel loro interesse aiutare le persone ad avere maggiori controllo e coesione nella propria identità” (Kouchaki, 2019).

2. Costruire un personal brand fedele a ciò che si è

Un compito che può apparire non autentico è la costruzione del proprio personal brand. “La gente teme che vendere se stessi significhi fornire una falsa impressione… ma nulla potrebbe essere più distante dalla verità. Infatti, una ‘grande vendi’ ’ richiede la forma più pura di autenticità” (Munich, 2019).

Per la ricercatrice, una marca personale efficace non è formata da parole d’ordine o slogan ma consiste in storie in grado di trasmettere valori, principi e obiettivi della persona. E per una marca personale autentica, quelle storie cattureranno ciò che rende davvero unica una persona. Per identificare le storie personali autentiche si potrebbe partire dal chiedersi:

  • qual è l’unica proposta di valore che può attecchire sulla persona seduta di fronte?;
  • per cosa si vuole essere memorabili?

La ricercatrice sottolinea che “per essere autentici si deve essere anche abili…e ciò richiede disciplina”. Infatti, essere autentici non significa eccedere ed essere fuori controllo. Quando, ad esempio, ci si prepara per la partecipazione a un panel è opportuno avere traccia dei “punti fermi” della conversazione, i punti-chiave delle storie da raccontare, anche corredati dalle domande che si intendono porre agli altri, cercando di annotare ed essere molto precisi nello scrivere qualsiasi cosa possa essere di rilievo per l’incontro.

3. I grandi leader conoscono loro stessi e “giocano” basandosi sui propri punti di forza

Quando si assume il ruolo di leader, molti temono che il “vero” sé non possa essere abbastanza duro o sicuro per incidere sul pubblico. Di conseguenza, spesso si inizia semplicemente a imitare ciò che si vede fare da altri leader (Booth, 2019).

La ricercatrice afferma che i grandi leader devono imparare ad amplificare il loro vero io piuttosto che prendere in prestito questi io dagli altri: “si tratta di sentirsi a proprio agio nella propria pelle, riuscendo a guidare l’organizzazione in un modo in cui non ci si senta come un ciarlatano”. Per sviluppare un percorso di amplificazione dell’io è necessario partire dalla scoperta dei propri punti di forza, che sicuramente saranno unici. Booth e Vuckovic (2019), infatti, sottolineano come non tutti i grandi leader utilizzino il medesimo modello di leadership. Ciò che veramente li distingue risiede nella capacità di riconoscere il loro ruolo di influenza sugli altri. Ad esempio, l’introverso autodidatta Douglas Conant ha conquistato l’ammirazione come CEO di Campbell’s Soup non attraverso discorsi audaci e pazzeschi, ma passeggiando nelle sale per incontrare i dipendenti e parlare con loro personalmente o, ancora, inviando appunti scritti a mano a coloro che voleva ringraziare. Secondo Booth, “questa era la sua versione di autentica leadership”.

Infine, occorre dare risalto al fatto che l’autenticità non garantisce la popolarità; infatti, non è detto che “le persone apprezzino ciò che si fa anche se in modo autentico…ma se ci si concentra su ciò che è giusto per l’organizzazione, è probabile che si ottenga il rispetto della maggioranza dei dipendenti o degli executive in azienda”.

4. Le relazioni autentiche con i clienti sono le più forti

È importante essere autentici anche in termini di brand management. Nell’era dei social media, i clienti si aspettano connessioni personali con le marche ed è per questo che diviene cruciale che le aziende adottino un modello di “engagement marketing”, teso a stabilire una relazione più profonda e affidabile con i clienti. Le esigenze dei clienti devono essere effettivamente prese in considerazione ed affrontate operativamente.

Sawhney (2019) afferma che “se si parla con i clienti solo di ciò che si vende, essi possono anche ignorarci…ma per ottenerne e accrescerne il coinvolgimento è necessario imprimersi nella mente sposando l’adagio non chiedere come vendere, ma come si può aiutare “.

La comunicazione deve perdere la connotazione di vendita per essere in grado di fornire effettivamente valore al cliente, lasciandosi ispirare da ciò che alcuni brand hanno fatto. Ad esempio, osservando:

  • Valspar Paint, che ha sviluppato un’app per la vendita di dipinti a creando le condizioni affinché le persone interessate potessero ottenere consulenze virtuali da esperti;
  • American Express, che ha avviato un forum online per i proprietari di piccole attività commerciali, accrescendone il senso di partecipazione alla comunità;
  • Toms, che dona un paio di scarpe per ogni paio venduto, è divenuto un brand inspiring e di riferimento valoriale importante per moltissimi clienti;
  • Marriott International, che ha introdotto un gioco online, facendo divertire i clienti-giocatori nel cimentarsi nella gestione di un hotel virtuale, accrescendo il valore della sua offerta attraverso l’intrattenimento.

Conclude Sawhney: “…proprio come ogni amicizia, una relazione autentica con il cliente richiede uno sforzo prolungato: deve esserci una conversazione vera, autentica, non aspettandosi che i clienti si sintonizzino con le marche solo quando si abbia un prodotto nuovo da lanciare”.

5. Come ricercare e perseguire una purpose autentica

Perace (2019) ha incontrato numerosi dirigenti di successo e ha scoperto che nonostante il mercato li applaudisse e  Wall Street li esaltasse, una parte di loro moriva ogni giorno. Afferma la ricercatrice che “molti di loro si ponevano questa domanda: Cosa si può fare quando la carriera non rispecchia ciò che si è? E, nonostante avessero ottenuto grandi risultati, a un certo punto si guardavano indietro chiedendosi: A cosa serviva?”.

Nel suo libro, The purpose path: a guide to pursing your authentic lifes work, Pearce delinea le possibili strategie da utilizzare per “allineare meglio le anime ai ruoli”.

Alcune evidenze contenute nel suo libro aiutano meglio a chiarire il percorso proposto:

  1. si inizia con il significato assunto dal concetto di successo personale. Troppo spesso, le persone giudicano se stesse usando la scorecard di qualcun altro: “…la gente insegue e fa le cose che altre persone hanno detto loro che dovrebbero volere”;
  2. un modo per costruire un’agenda più autentica è “non dimenticare gli aspetti negativi connessi alle tradizionali misure di successo, come lo stipendio e il titolo”. Le persone in carriera, ad esempio, troppo spesso devono sacrificare il loro tempo libero o rinunciare a un lavoro più significativo. Includere anche questi “inconvenienti” nel calcolo personale della propria autenticità può aiutare a prendere decisioni migliori;
  3. parlare con mentor, colleghi e familiari può anche aiutare a evidenziare tratti e valori fondamentali che potrebbero non riconoscersi attraverso l’ A tal fine, l’impiego della Johari Window, focalizzata su alcuni tratti personali da analizzare con l’aiuto degli altri, può aiutare a scoprire di sé stessi;
  4. solo dopo aver compreso l’obiettivo finale può iniziare a definirsi la strategia più consona al “come arrivarci”. Ciò potrebbe significare una revisione della carriera o il compimento di alcuni piccoli passi come il volontariato (per dare, offrire il proprio contributo) o l’iscrizione ad un corso serale (per sapere, conoscere ed aprirsi verso nuovi sentieri);
  5. In conclusione, secondo Pearce, “a volte si ha bisogno di richiamare alla mente, evocare il coraggio di fare il salto, anche se questo non significa necessariamente l’abbandono immediato del proprio lavoro”.

In questa rubrica

L'importanza di fare personal branding

L’importanza di fare Personal Branding

Basketball

Coerenza e longevità di PoP e PoD – Giannis Antetokounmpo

Shopping

Come coinvolgere i dipendenti: Macy’s e i suoi Brand Ambassador

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *